sabato 25 febbraio 2017

Recensione: Cinder di Marissa Meyer

Titolo: Cinder
Autore: Marissa Meyer
Casa editrice: Mondadori
Numero di pagine: 396
Formato: Cartaceo

Cinder è abituata alle occhiate sprezzanti che la sua matrigna e la gente riservano ai cyborg come lei, e non importa quanto sia brava come meccanico al mercato settimanale di Nuova Pechino o quanto cerchi di adeguarsi alle regole. Proprio per questo lo sguardo attento del Principe Kai, il primo sguardo gentile e senza accuse, la getta nello sconcerto. Può un cyborg innamorarsi di un principe? E se Kai sapesse cosa Cinder è veramente, le dedicherebbe ancora tante attenzioni? Il destino dei due si intreccerà fin troppo presto con i piani della splendida e malvagia Regina della Luna, in una corsa per salvare il mondo dall'orribile epidemia che lo devasta. Cinder, Cenerentola del futuro, sarà combattuta tra il desiderio per una storia impossibile e la necessità di conquistare una vita migliore. Fino a un'inevitabile quanto dolorosa resa dei conti con il proprio oscuro passato.

Carissimi lettori, a settimane dalla recensione di una manciata di capitoli per il gruppo di lettura, finalmente vi faccio la recensione completa del primo volume delle ormai celebri Cronache lunari:)

L'originalità della serie della Meyer sta nell'idea - geniale a mio parere - di mescolare le fiabe che tutti noi conosciamo e che ci accompagnano da sempre con un'ambientazione fantascientifica, il tutto riunito da un unico filo conduttore che percorrerà tutta la saga e che è rappresentato dalla protagonista del primo romanzo, Cinder.
La prima cosa che dovete sapere di Cinder è che è un meccanico, e il più rinomato di tutta Nuova Pechino. Così bravo che perfino il principe Kai, erede al trono, decide di rivolgersi a lei per riparare un droide.
La seconda cosa è che Cinder vive con la matrigna - Adri - e le due sorellastre. Il rapporto con la famiglia adottiva è tutto meno che buono e l'unico barlume di luce le viene dalla più giovane delle sorellastre, Peony.
La terza cosa è che Cinder è un cyborg
I cyborg un tempo erano umani. In seguito a incidenti gravissimi la medicina futuristica ideata dalla Meyer interviene in modo massiccio e sostituisce le parti irrimediabilmente danneggiate con pezzi di metallo. Ciò li rende, agli occhi della società in cui vive Cinder, meno che umani. E questo è il motivo per cui Cinder è soggetta agli umori di Adri e non ha voce in capitolo sul suo destino. Il culmine di questo processo di emarginazione viene raggiunto con l'avvento della letumosi. Questa malattia mortale, di cui non si conosce la provenienza nè tantomeno la cura, sta decimando la popolazione; lo stesso imperatore giace da tempo a letto malato. Si decide dunque di utilizzare i cyborg come cavie da laboratorio su cui testare i vari tentativi di antidoto; cyborg che verranno estratti a sorte oppure offerti (contro la loro volontà) dai loro tutori.
Questa è la società in cui vive Lihn Cinder.
L'aspetto più curato del romanzo è senza dubbio quello politico e quello relativo al personaggio di Cinder.
Ma andiamo con ordine.
La protagonista assoluta di questo romanzo - nonostante vi siano inseriti vari altri POV - è senza dubbio Cinder. La sua vicenda è palesemente ispirata a quella di Cenerentola e i canoni della favola sono rispettati pienamente: ci sono matrigne e sorellastre, c'è un ballo, una "scarpetta", un principe. Il modo in cui gli elementi sono stati tutti rimescolati è però quello che determina l'originalità della storia.
Come già accennato, Cinder è un meccanico e un cyborg (aspetto che avrei gradito fosse approfondito maggiormente). Alcune vicende, però, la porteranno a intrecciare il suo destino con il principe Kai prima e, poi, con la regina Levana.
Vi avevo anticipato che ci sarebbe stato un aspetto più squisitamente politico, ed eccolo qua: la Terra e la Luna sono da decenni sul punto di dichiararsi guerra. Il precario equilibrio è retto di Kai, ma Cinder potrebbe finire per spezzarlo...
Lo stile della Meyer è semplice e scorrevole, pulito. Con una scrittura mai pretenziosa ci inserisce in un mondo vecchio e nuovo a un tempo: da una parte il progresso è andato avanti e ogni cosa è sempre più tecnologica; dall'altra le dinamiche e i sentimenti rimangono sempre quelli e, complice una trama di fondo che riporta il lettore ai giorni dell'infanzia, sembra di muoversi in terreni conosciuti.
La trama non è complessa eppure riesce a scatenare nel lettore un'emozione dietro l'altra. La vicenda di Cinder coinvolge e fa trattenere il respiro, fa arrabbiare e sospirare, e ti lascia con un finale da mangiarti le mani!
I personaggi che si muovono sono pochi ma ben delineati. Cinder e Kai sono i principali, con i loro goffi tentativi di avvicinamento e la pesante mole di segreti e responsabilità che si trascinano dietro. Ma tutti i nodi vengono al pettine, come si suol dire, e il finale vedrà una svolta assolutamente inaspettata; accanto a loro, indimenticabili personaggi secondari sono il dottor Erland e il droide Iko; la matrigna, Adri, si meriterebbe spesso e volentieri una bella scarica di botte. Su tutti campeggia Levana: crudele, ambiziosa, manipolatrice. Lei è la vera antagonista della storia e oscura Adri dalla prima scena. Il suo è un personaggio inquietante, che gioca con le menti di chi la circonda e persegue fini misteriosi.
Nella recensione di quei pochi capitoli, avevo evidenziato un tratto che sarà poi la costante del libro. Cinder e Kai fin dall'inizio si girano attorno, attratti l'uno dall'altra. Cinder è diversa dalle altre e Kai è affascinante. Ognuno di loro, però, ha una sorta di doppia vita di cui l'altro non è messo a parte: i doveri del regno schiacciano Kai e la sua condizione di sottomissione alle angherie di Adri spossa Cinder. La loro è una storia di sentieri che, per ora, non si incontrano mai davvero, al massimo si sfiorano.
Come dicevo, il finale è un vero colpo basso, possiamo solo ringraziare che il secondo (e pure il terzo!) sono già reperibili subito, immediatamente, perchè il bisogno di fiondarsi su Scarlet è quasi doloroso.

Virgina

mercoledì 22 febbraio 2017

Recensione: Le due torri di J.R.R. Tolkien

Titolo: Le due torri
Autore: J.R.R. Tolkien
Traduttore: Vicky Alliata di Villafranca
Casa editrice: Bompiani
Numero di pagine: 300
Formato: Cartaceo

In questo secondo romanzo della trilogia di Tolkien, gli amici della Compagnia dell'Anello lottano separati. Merry e Pipino sono fatti prigionieri dalle forze del Male, ma riescono a fuggire e trovano soccorso in uno strano mondo di esseri giganteschi, mezzo vegetali e mezzo umani. Aragorn, un enigmatico personaggio che si era unito alla Compagnia all'inizio dell'impresa, stringe alleanza con i guerrieri di Rohan, un popolo fiero che per secoli ha resistito all'assalto delle tenebre. Frattanto Frodo e il devoto Sam si imbattono in Gollum, un viscido essere che era stato l'antico possessore dell'Anello, e lo costringono a condurli verso Monte Fato. Ma spaventose creature li attendono al varco e il loro cammino si interrompe tragicamente. Prefazione alla seconda edizione inglese di J. R. R. Tolkien.


Salve a tutti lettori e buongiorno:) L'ultimo mio articolo era all'insegna dell'ansia e della depressione più nera a causa di un esame imminente. Be', l'esame è andato (e anche molto bene), quindi il sole è tornato a splendere e l'ansia si è sciolta come neve al sole e io mi godo una piccola settimana di vacanza prima di buttarmi nuovamente nello studio (questa volta tocca a Storia Romana). Culmine della mia settimana sarà mercoledì sera, quando parteciperò a un evento davvero molto speciale e del quale non vedo l'ora di parlarvi qui sul blog, quindi restate collegati;)
Con il tempo finalmente libero dallo studio, ho potuto riprendere in mano Le due torri, temporaneamente abbandonato nei giorni immediatamente precedenti all'esame, e in brevissimo tempo l'ho terminato. Eccomi qui dunque a parlarvene, e questa volta ho davvero un bel po' di cose da dire, quindi preparatevi!


Con Le due torri Tolkien riprende la narrazione nel punto esatto in cui l'aveva interrotta: Aragorn, Legolas e Gimli accorrono in aiuto di Boromir; Pipino e Merry sono prigionieri degli orchi; Frodo e Sam proseguono da soli il viaggio verso Mordor.
Ancor più che per il primo libro, non posso non prendere in considerazione anche il film nel fare questa recensione. Innanzitutto perchè la trilogia cinematografica fa ormai parte in maniera indelebile dell'immaginario collettivo ed è diventata un unicum (almeno nel mio caso) con i libri; in secondo luogo perchè le differenze con il libro cominciano ad essere piuttosto pesanti, e spesso portano a male interpretare alcuni personaggi, se non delle tematiche stesse del romanzo.
Ma andiamo con ordine.
La prima differenza che mi ha molto infastidito, e che secondo me indica una interpretazione sbagliata del pensiero di Tolkien, potrebbe apparire una sciocchezza. Appena prima che scoppi la battaglia al Fosso di Helm, giunge in aiuto a Rohan una truppa di arcieri elfici inviati da Elrond. Nei film il tema dell'aiuto reciproco, del rinsaldarsi di antiche alleanze da tempo dimenticate è uno dei più importanti, uno dei fulcri dell'intera vicenda. 
Nel libro Elrond non manda alcun aiuto.
Potrebbe sembrare una differenza di poco conto, e in effetti lo è. Il punto è che, a mio parere, Tolkien ci manda in tutta la trilogia un messaggio ben preciso e questa modifica lo vanifica. Nella mia rilettura, infatti, ho improvvisamente realizzato che Il Signore degli Anelli è una storia sugli Uomini. Se le opere precedenti di Tolkien (Lo Hobbit, Il Silmarillion e i vari racconti) sono infatti piene di creature magiche e incantesimi, in quest'ultimo pezzo di storia di Arda tutto è ormai in decadenza: i Draghi sono tutti scomparsi, i Nani non si fanno ormai più vedere da tempo e gli Elfi stanno abbandonando queste sponde. Le uniche eccezioni sono gli Hobbit e gli Ent, ma di loro parlerò dopo.
Credo che questa scelta sia stata simbolica. Ormai la magia sta abbandonando la Terra di Mezzo, ciò che ne rimane sono solo vestigia di un passato favoloso e quasi dimenticato e gli Uomini, eredi della terra, devono battersi per essa contro il Male. Male a cui, lo ricordo, sono straordinariamente sensibili e vulnerabili. 
Come vi dicevo, Ent e Hobbit sono casi un po' particolari. 
Decidendo di rendere gli Hobbit protagonisti della storia - loro, così piccoli e comuni - Tolkien ci mostra come le imprese grandiose non siano appannaggio di soli uomini eccezionali, anzi. Come dice Sam nel corso del romanzo, infatti, gli eroi veri, quelli che vengono ricordati, non sono quelli che si buttano alla ricerca del pericolo ma quelli che vi si trovano coinvolti malgrado la loro volontà; e nonostante tutto vanno avanti, sapendo che è la cosa giusta da fare (questa scena, nel film, è davvero da gonfiare il cuore di commozione). Gli Hobbit, quindi, sono in realtà poi un lato dell'umanità, quello della quotidianità, delle piccole cose.
Con gli Ent il discorso è un po' diverso e si coinvolge un'altra delle tematiche più importanti del romanzo e, poi, dell'intera trilogia. Una delle opposizioni più forti della storia, infatti, è quella dell'industrializzazione (definiamola così) contro la natura. Lo scontro tra gli Ent e Saruman diventa il simbolo di questo scontro. Inutile dire che nella visione di Tolkien l'industrializzazione ha un carattere fortemente negativo: Saruman distrugge tutto ciò che è intorno alla sua torre, sfregia la terra creando pozzi, fa incroci abominevoli. Ma la forza della natura, si sa, è irrefrenabile, e nel romanzo è rappresentata dai millenari Ent.


Le altre due grandi differenze con il film, quelle che non mi sono piaciute, coinvolgono due personaggi.
Il primo è Faramir. La natura di questo personaggio viene totalmente stravolta nel film, dove cede (anche se solo temporaneamente) alla tentazione dell'Anello; nel libro, invece, non vacilla mai, in netta contrapposizione col fratello Boromir. È come se Faramir rappresentasse l'intelligenza e Boromir l'istinto, entrambi presenti nell'uomo e, forse, nodo centrale della sua lacerazione interiore. Tolkien ci mostra due reazioni diverse al Male e alla tentazione: se uno cede, l'altro resiste.
L'altro personaggio che viene letteralmente massacrato nel film è quello di Frodo. Io, da amante dei film, l'ho sempre ritenuto un personaggio insopportabile. Nel leggere i romanzi, Frodo è diventato uno dei miei personaggi preferiti. Nel libro Frodo è un personaggio del tutto particolare e che mi ha fatto fare tutta una serie di riflessioni, alcune anche abbastanza contrastanti fra di loro.
La prima, e la più immediata, è che Frodo mi ricorda un po' Gesù. Nel primo libro è solo uno Hobbit qualunque ma qui qualcosa è cambiato. Non è più il Frodo di prima e questo lo vede anche Sam. Più in generale, si potrebbe fare il parallelo in seguito a una considerazione: Gesù è venuto sulla Terra, secondo l'ideologia cristiana, si è fatto carico del peccato dell'umanità e lo ha espiato immolandosi. Frodo si addossa la responsabilità di portare l'Anello al Monte Fato (l'Anello che è emanazione stessa del Male). Nel farlo (SPOILER) Frodo morirà, e dentro di sè lo sa anche lui.
Ma altre mie riflessioni si sono intrecciate al personaggio di Frodo. Nelle Scritture ogni volta che ci si riferisce a Dio si usa la maiuscola (Dio, Suo figlio, eccetera). Questo formalismo viene ripreso da Tolkien, ma riferito a Sauron. Ora, sembra una stupidaggine, però ho anche riflettuto che Tolkien non era una persona qualunque ma un docente universitario, e fra l'altro di Oxford, dove insegnava filologia anglosassone. Il suo curriculum è piuttosto vasto, ma quello che voglio dire è che non credo che uno studioso di questa portata, un filologo per giunta, dunque uno studioso delle parole, possa utilizzarle a caso. Sono convinta, quindi, che la sua sia stata una scelta precisa, e anche piuttosto significativa. 
Sauron, dunque, viene in un qualche modo accomunato a Satana e a Dio. In ogni caso viene rivestito di una presenza talmente ingombrante da non trovare spazio sulla scena: come Dio e il Diavolo, Sauron è spesso nominato ma mai visto concretamente. Allo stesso tempo, mi sono resa conto che a un unico centro di potere malvagio (Sauron) non veniva contrapposto un unico centro compatto positivo. Se l'ideologia cristiana, mantenendo questa chiave di lettura, contrappone Dio e Satana, Tolkien schiera Sauron contro... apparentemente nessuno. Perchè i "buoni" sono separati, sparsi per la Terra di Mezzo, a loro volta inquinati dal Male. Quindi Sauron sarebbe Satana? Dio, addirittura? Una sorta di scontro fra monoteismo moderno e politeismo pagano, per ritornare anche all'opposizione fra industrializzazione e natura?
So che questi discorsi sembrano abbastanza cervellotici (se non addirittura campati per aria), ma giuro che mi sono nati spontaneamente durante la lettura. Una lettura che mi ha dato molto da pensare, come potete vedere. A questo punto chiedo anche a voi. Se lo avete letto, avete mai dato una lettura simile alla mia? Se no, che interpretazione avete dato?
Chiudo condividendo un video bellissimo su Sam. Come ricompensa per esservi sciroppati tutte queste chiacchierexD


Un saluto a tutti, al prossimo articolo:-*
Virginia




mercoledì 15 febbraio 2017

CineRecensione#3 I segreti di Brokeback Mountain

Anno: 2006
Pellicola: Colore
Durata: 134 min
Regia: Ang Lee

Wyoming 1963. Sotto i cappelli due cowboy attendono davanti all'ufficio del rancher locale, Joe Aguirre, di salire sul Brokeback per la transumanza. Ennis Del Mar non ha famiglia, persa dietro una curva di una strada diritta, Jack Twist ne ha una da dimenticare in fondo alla campagna texana. Fuori dal mondo, in quel luogo sospeso che "rompe" con le convenzioni giù a valle, che "spezza" i tempi della cultura per seguire quelli di natura, i due giovani si avvicinano fino a toccarsi. Nella tenda, generosa alcova, il cameratismo si converte in passione, la realtà in epica amorosa. 

Carissimi lettori eccomi qui, puntualissima per il nuovo appuntamento con le CineRecensioni! Prima una precisazione: il mio esame è stato rimandato a giovedì 16 febbraio, motivo per cui continuo a latitare sul mio e sui vostri blog. Abbiate pazienza, risponderò ad ogni commento e passerò a mia volta, ma al momento già è tanto se riesco a postare con una certa (?) regolarità.
Detto questo, passiamo subito al film.
Visto per la prima volta anni fa, me ne innamorai subito. Il mio fu però un amore lento, incerto e, infine, convinto. Non è infatti un film facile da digerire, vuoi per il ritmo (lento, pacato), vuoi per le tematiche (strazianti).
Credo che tutti, o quasi, abbiate visto o sentito parlare di questo film. Non è certo la mia la recensione di cui avete bisogno, però io l'ho rivisto questo finesettimana e ho sentito l'esigenza di parlarne qui sul blog con voi. Perchè mi piace molto, perchè gli argomenti sono attualissimi, perchè è controverso.
Si, è un film controverso. Non è una storia d'amore (o meglio, non solo) e il suo romanticismo ha molto più della disperazione e dello sfinimento che non delle atmosfere di altre pellicole. Quindi, se cercate un film rilassante e che vi faccia venire gli occhi a cuoricino (e per carità, per fortuna che ci sono anche quei film!), non guardate questo, perchè il rischio collaterale è di trovarsi con il cuore spezzato nel petto e un senso di amarezza che vi perseguiterà per giorni.
La parte iniziale è meravigliosa, bellissima. In tutto: l'ambientazione (Brokeback Mountain, Wyoming), le musiche, il modo in cui il rapporto fra Ennis e Jack si evolve, si trasforma, e i momenti dolcissimi che seguono.
Eppure.
Eppure, fin dall'inizio, Ang Lee ci tiene a farci capire che questa storia non può andare a finire bene. Non per nulla, dopo che le dinamiche fra i due protagonisti sono definitivamente cambiate, Ennis torna dal gregge e trova una pecora morta, sventrata. Ho sempre letto quel momento come un presagio di cattivo augurio.
Come dicevo, non si tratta di un film facile da digerire. La tematica che permea tutta la narrazione, come potete facilmente intuire, è quella dell'omofobia. Dopotutto, ripeto, siamo nel Wyoming, nel 1963. Fin dall'inizio l'occhio sospettoso della bigotta società di provincia si posa su Jack, che più di Ennis desidera vivere liberamente il proprio amore. Ma Ennis è ancora fortemente influenzato dalla rigida mentalità del periodo e si rifiuta di analizzare più a fondo i propri sentimenti.
Ennis, a mio parere, è quello che si potrebbe definire un vero e proprio represso, sessualmente ed emotivamente parlando. Fin dall'inizio è chiuso, cupo, di pochissime parole; "selvatico", come lo definisce Alma a un certo punto. Eppure, talvolta i suoi sentimenti vengono a galla, in un'esplosione di aggressività quasi spaventosa a vedersi. Urla, picchia, ringhia; i sentimenti gli lacerano il cuore e lui prende a pugni un muro, reprimendo singhiozzi che lo portano sull'orlo del vomito e urlando contro chiunque si fermi a guardarlo. 
Ennis, inoltre, rifiuta in toto la sua omosessualità. "Io non sono come te", dirà a un certo punto a Jack. Più in generale, mentre Jack vive con più "sfrontatezza" i suoi sentimenti, alla ricerca testarda della felicità, Ennis si rinchiude in sè stesso, ripetendosi con più convinzione possibile che a lui basta quel poco che può avere. Ma è davvero così? E, anche se fosse, è giusto?
Ennis è il personaggio che più mi ha interessato nel film. La sua vicenda, purtroppo, si interseca con quella di un altro personaggio chiave, Alma. Prima fidanzata, poi moglie (niente spoiler, ragazzi, viene detto fin dai primi minuti che sono fidanzati e che intendono sposarsi dopo l'estate!). Alma è uno dei motivi per cui il film rimane sullo stomaco.
Quando la conosciamo, è giovanissima e innamorata. Dopo il matrimonio, la vita cambia drasticamente. I soldi sono pochi e subito arrivano dei figli; Ennis è sempre a lavorare e Alma, abbandonata a sè stessa in una casa circondata solo da campi e vuoto, passa le giornate a lavorare e a crescere i figli. Ma, nonostante la stanchezza, l'amore rimane sempre, è una costante dei suoi rapporti con Ennis. Un amore che è sicuramente ricambiato, ma che si deve scontrare con un sentimento segreto ma molto profondo: quello che lo lega a Jack.
Alma è la vittima per eccellenza di questa storia, il motivo per cui è impossibile perdonare del tutto Ennis, Jack e il loro amore egoista. Anche se è un amore talmente giusto da schiacciare il cuore e far tremare l'anima. Perchè, nonostante gli errori, il male causato, le incomprensioni; nonostante la distanza, gli anni che passano, l'amarezza di una maturità che tradisce le fervide speranze della gioventù; nonostante tutto, insomma, Ang Lee decide di congedarsi da Ennis e Jack - prima che tutto precipiti - con una delle scene più dolci che io abbia mai visto: di nuovo giovani, di nuovo durante quell'estate fuori dal tempo in cui si sono conosciuti e amati, semplicemente; di nuovo a Brokeback Mountain, il luogo dove tutto inizia e finisce.
Il passato sfuma di nuovo nel presente ed è il momento delle amarissime scene finali. Tutto si annulla in quell'ultima sequenza, in quelle ultime parole, se non l'amore. Un amore che è ormai definitivamente intrecciato con il rimpianto, ma che costringe lo spettatore a stringere i denti e a trattenere le lacrime.




Virginia

giovedì 9 febbraio 2017

Piccole Donne Book Tag

Immagine trovata su Google e non creata da me

Salve a tutti lettori del Labirinto! Ormai la settimana è agli sgoccioli e io festeggio a modo mio, con un Book Tag molto carino inventato da Beth Book del blog Libraia in soffitta, che ha per oggetto un libro che amo molto: Piccole donne di Louisa May Alcott, ovviamente, un classico per ogni giovane lettrice. Come tante altre generazioni di lettrici prima di me, mi sono innamorata della famiglia March e del loro mondo e, anche se alcuni sviluppi successivi non mi hanno trovata troppo d'accordo, l'affetto per quei personaggi non è mai venuto meno. E visto che quest'anno vorrei rileggere l'intera saga (quest'anno voglio fare un sacco di riletturexD), il Tag cascava proprio a fagiolo.

Ma è piuttosto lungo, quindi parto subito!

1. La famiglia March: Un romanzo tutto al femminile.

Ho voluto stupirvi con un romanzo di cui non ho mai parlato. In questo caso, si tratta di un saggio. Non sono solita leggere saggi (anche se  ultimamente mi è venuto un certo desiderio), ma quando anni fa vidi questo libro fui come folgorata. Non so cosa successe di preciso, cosa mi convinse ad acquistarlo. So solo che la cover sicuramente mi colpì (continua a piacermi un bel po' tuttora), così come mi interessò l'argomento, ovvero la sintetica ma molto interessante galleria delle donne che esercitarono un potere in Francia, regine o amanti che fossero. La prosa della Craveri mi conquistò, tanto da spingermi ad acquistare altri suoi saggi, e con mia grande soddisfazione. 
Calza a pennello per questa tappa, essendo assolutamente dominante la figura femminile. Se vi capitasse sott'occhio in libreria e siete interessati alla figura femminile nella Storia, ve lo consiglio assolutamente.

2. Margareth March: Un libro che ti ha instillato buoni sentimenti.

Ora, non sapevo bene che titolo inserire in questa categoria. Il libro stesso della Alcott vi sarebbe rientrato alla perfezione, però un po' mi scocciava. Alla fine ho optato per la meravigliosa opera di Ende, perchè è comunque un libro che mi ha riempita di gioia. Si, non c'è altro modo per descrivere la mia esperienza di lettura: mi ha meravigliata, coinvolta, riempita di felicità. È un romanzo che insegna ad essere sè stessi e ad apprezzare le cose davvero importanti della vita, nonostante tutte le difficoltà. Sono molti i libri con questo messaggio ma Ende riesce a veicolarlo, a mio parere, in maniera genuina e potente, in un romanzo che riempie il cuore del lettore.

3. Robert March: Un libro con un protagonista che abbia un forte senso del dovere.


Decidere di portare l'Anello lontano dalla Contea fino a Gran Burrone e, da lì, fino a Mordor, è una delle scelte più coraggiose che siano mai state scritte. Frodo abbandona l'unica patria che abbia mai conosciuto e si avventura nell'ignoto, inseguito da creature spaventose e con orrori sconosciuti ma non per questo insospettabili davanti a sè. E fa tutto questo perchè deve. Vorrebbe tornare a casa ma non può esimersi dal compiere il suo dovere. E lo fa, per quanto sembri spaventoso e impossibile. Una scelta degna di ammirazione.

4. Jo: Un romanzo con una protagonista coraggiosa e ribelle.

Nella letteratura - soprattutto degli ultimi anni - ci sono eroine "coraggiose e ribelli" a bizzeffe. Non sapendo bene quale privilegiare, ho infine optato per Romilda, una delle tante protagoniste di MZB, e forse non la più celebre. Romilda lotta contro tutto ciò che per secoli ha oppresso la donna: la famiglia, il matrimonio, la società tutta. E l'unico modo per farlo è travestirsi da uomo, fuggire di casa e trovarsi una sua strada, dove essere sè stessa.



5. Beth: Un racconto dolce e delicato.

Ho letto un bel po' di polemica intorno a questo libro, qualche settimana fa. A prescindere dai gusti, che sono personali, ho talvolta avvertito un senso generale di "trasgressione": il libro è piaciuto a tutti, viene idolatrato da tutti, e io dico che mi fa schifo. Perchè sono diverso, mi distinguo dalla massa.
Potrei scrivere per ore solo per sfogare tutto il veleno che mi fa salire quest'espressione, ma soprassiedo. Il piccolo principe è una fiaba delicata e dolce, come richiede la tappa. Non è il mio libro preferito e mai lo sarà, ma criticare solo per il gusto di far polemica è da idioti (ovviamente non mi riferisco a CHIUNQUE non ami Il piccolo principe, ma solo a quelli che lo dicono al solo scopo di farsi notare).



6. Meg: Un libro incentrato sul legame tra sorelle.

Jane Austen è amata e conosciuta da molti per le sue storie d'amore. Tralasciando il fatto che la Austen non è solo questo (come molti erroneamente ritengono), ecco uno dei suoi romanzi più conosciuti ma, forse, meno apprezzati. Qui centrali sono ben altri argomenti, uno dei quali il legame fra le sorelle Dashwood, molto vicine l'una all'altra nonostante temperamenti molto diversi. E ricordiamoci che Jane Austen aveva a sua volta una sorella, Cassandra, con la quale era legatissima e con cui intratteneva una vivace corrispondenza nei periodi di lontananza.



7. Amy: Un libro verso il quale avevi grandi aspettative, ma in cui hai trovato dei difetti.

Mamma mia, che dispiacere che provo ancora adesso! Dopo il folgorante La guardia, il poeta e l'investigatore, mi sono buttata su un altro libro di Jung-myung Lee. Se nel precedente titolo si parlava di letteratura, qui si parla di pittura. Ancora una volta riprende personaggi di spicco della cultura coreana e li inserisce in un contesto di parziale finzione. Mi aspettavo di nuovo magie, invece ho trovato solo un libro che sembrava non partire mai e una vicenda piuttosto confusa.
L'ho abbandonato a metà e mi piange ancora il cuore.



8. Zia March: Un libro che ti ha irritato.

Che nervi, questo libro! L'ho letto anni fa e ancora mi infastidisce il pensiero.
Dopo anni di bullismo, Tate comincia una storia d'amore proprio con Jared, quello che l'ha bullizzata per anni e le ha messo contro tutta la scuola! E non me ne frega niente se lui aveva i "traumi del passato", che ormai sembrano una prassi, una giustificazione per ogni cosa. IL TUO PASSATO NON TI GIUSTIFICA NEL MOMENTO IN CUI FAI DEL MALE AD UN'ALTRA PERSONA!!
Ora che l'ho detto chiaro e tondo, posso passare ad altro senza pensarci mai piùxD



9. Laurie: Un libro incentrato su un rapporto di amicizia.

Nella maggior parte dei romanzi, soprattutto se scritti da donne, sembra che una semplice amicizia fra ragazze sia impossibile. O viene fuori la fregatura (si fregano il ragazzo) oppure è un'amicizia solo di nome, un modo in cui la scrittrice cerca di fingere di voler tratteggiare un personaggio a tutto tondo, mentre in realtà le interessa solo la storia d'amore (sto consapevolmente generalizzando, ovviamente;)). Sarà per questo che, quando una donna scrive un libro con una forte amicizia femminile, questo mi rimane impresso, e mi fa piacere. La Marillier, che è una delle mie scrittrici preferite, dimostra la sua abilità anche in questo: i personaggi femminili non sono sempre in competizione, ma si incontrano e scontrano come persone qualunque e, qualche volta, stringono amicizie meravigliose. È il caso della trilogia di Shadowfell, una serie bellissima dove la protagonista, Neryn, nel secondo cede quasi il posto di attrice principale a Tali. Non si somigliano fra di loro, anzi, agli inizi non si stanno neanche simpatiche. La necessità fa compiere loro un lungo viaggio insieme e, fra una peripezia e l'altra, nascono il rispetto, la stima e, infine, l'amicizia. Un'amicizia senza atti plateali ma forte e sincera, che rimarrà anche nel successivo ed ultimo romanzo.



10. James Lawrence: Un libro che ti intimoriva, ma che una volta letto ti è rimasto nel cuore.

Regalatomi a un compleanno, è rimasto a prendere polvere sul mio scaffale per anni. Mi spaventava, lo ammetto. Sembrava un libro pesante, come scrittura e come argomenti. Stanca di vedermelo lì, quest'estate l'ho finalmente preso in mano e, che dire, in tre giorni l'ho finito, nonostante le 600 pagine. E si, non è un libro leggero, ma è estremamente appassionante, ed è quello che conta:)




11. John Brooke: Un libro che hai trovato istruttivo.

Non sapevo bene cosa scegliere. Immagino dipenda da come si intende "istruttivo". A sangue freddo mi ha fatto molto riflettere sulla pena di morte, argomento che mi aveva trovata indecisa e titubante per anni, e mi ha infine confermato una posizione che sentivo già dentro di me ma che Capote ha cementato. In questo senso lo definisco un libro "istruttivo". C'è da dire che, a mio parere, ogni libro può insegnare qualcosa.
Ah, ci tenevo a dire che John Brooke non mi è mai piaciuto per nulla, l'ho sempre trovato estremamente noioso. Chissà che la rilettura non mi faccia cambiare idea...



12. Fritz Baher: Un libro che basandoti sulla cover non avresti mai comprato ma che poi ti ha conquistato.

Questo. Mille volte questo. Non l'ho neanche comprato, in effetti. L'ho preso in biblioteca e solo dopo che una signora mai vista prima me lo ha consigliato, dopo che io lo avevo snobbato bellamente fra le novità. Preso senza molta convinzione, me ne sono innamorata con tutto il cuore, tanto da inserirlo fra le miei 10 letture migliori del 2016.













Con questo il Book Tag è finito. Consideratevi tutti taggati:)

Virginia














lunedì 6 febbraio 2017

Recensione: The Chemist - La specialista di Stephenie Meyer

Titolo: The Chemist - La specialista
Autore: Stephenie Meyer
Traduttore: Rosa Prencipe e Elisa Finocchiaro
Casa editrice: Rizzoli
Numero di pagine: 538
Formato: Cartaceo

Lei lavorava per il governo degli Stati Uniti, per un'agenzia così segreta che non ha neanche un nome. È un'esperta nel suo campo, ma adesso sa qualcosa che non dovrebbe sapere, e i suoi ex capi la vogliono morta. Subito. Non può restare a lungo nello stesso posto, né mantenere la medesima identità per troppo tempo, e l'unica persona di cui si fidava è stata uccisa. Quando le viene offerta la possibilità di mettersi in salvo, in cambio di un ultimo lavoro, lei accetta, ma nel momento in cui si prepara ad affrontare la sfida più dura, si innamora di un uomo. E sarà una passione che può soltanto diminuire le sue possibilità di sopravvivenza. Mentre tutto si complica, la Specialista sarà costretta a mettere in pratica il suo «talento» come mai prima. In un mondo in cui i rapporti di fiducia mutano di continuo, dovrà muoversi con ingegno e astuzia per proteggere se stessa e l'uomo che ama. Stephenie Meyer ha creato un'eroina affascinante e feroce e dato vita a un romanzo potente che trascina il lettore in un vortice ad alto tasso adrenalinico: crimini, fughe, torture, giochi e doppi giochi di spionaggio, in bilico tra passioni e ragioni assolute.

Buon lunedì a tutti cari lettori, eccomi tornata con una recensione, finalmente! A giorni darò questo benedetto esame e quindi dovrei tornare con più regolarità nella blogosfera e nel mio personalissimo angolino, quindi non disperate!
Detto questo, passiamo al libro.
Non è il primo romanzo che leggo della Meyer. A 14 anni mi sono perdutamente innamorata della serie Twilight e, se questo amore adesso si è decisamente ridimensionato, non lo è quello che provo per L'ospite, opera abbastanza snobbata di questa scrittrice (e non guardate il film, per carità). La verità è che la Meyer si è dimostrata una scrittrice eclettica, molto più versatile di quanto i suoi feroci detrattori potrebbero mai pensare. Da un romance con vampiri e fanciulle in pericolo è saltata al distopico (e un distopico pure piuttosto originale, a mio parere) e da lì è approdata al thriller, genere di cui non sono per nulla ferrata e che non ho mai amato ma che non ho potuto fare a meno di leggere trattandosi di Stephenie Meyer.
La trama è piuttosto intrigante: una giovane donna dai mille nomi è in fuga dall'agenzia governativa per la quale lavorava. Esperta di veleni e altre sostanze chimiche, usa la sua abilità per riguadagnarsi un'esistenza serena, ma i piani non vanno esattamente come li aveva programmati...
Non dirò altro della trama.
Innanzitutto, mi è piaciuto questo nuovo romanzo della Meyer?
Ni.
La scrittura è, come negli altri romanzi, molto scorrevole e avvincente; la narrazione presenta varie scene d'azione che mi sono piaciute un bel po', alternate a momenti comunque mai noiosi. La protagonista, che per tutto il libro assumerà il nome di Alex, è senz'altro interessante: fredda, calcolatrice, spietata. Lontana anni luce dalla Bella Swan che tanto le è stata rimproverata, forse a mostrare che Bella non è mai stata un modello di donna quanto un semplice personaggio (in molti hanno parlato di anni di lotte femministe perse in uno sbuffo di fumo. Ma lo dicono pure adesso con 50 sfumature, quindi nessun problema). Alex è scaltra, pericolosa e  molto intelligente; gli uomini non muoiono per lei, anzi, e ha il dono di passare completamente inosservata. Finchè non arriva Daniel.
Daniel è stato il mio personale punto interrogativo del romanzo. Dopo i personaggi maschili a cui ci aveva abituati, mi aspettavo qualcuno di più affascinante. La Meyer, invece, sembra voler andare fino in fondo nella sua opera di ribaltamento dei ruoli, a dimostrazione, di nuovo, che determinati personaggi non erano altro che quello e sicuramente non il pericolo che in molti vi hanno letto. Se Alex è quella pericolosa, quella che sa sempre cosa fare, Daniel è la persona comune, quello in cui il lettore potrebbe immedesimarsi meglio: travolto dalle circostanze, fa del suo meglio per sopravvivere, senza risparmiarsi errori madornali. 
Non mi sono piaciuti particolarmente, nè insieme nè singolarmente. Se Alex, infatti, si è rivelata un po' troppo fredda per i miei gusti e mi ha reso difficile il senso di immedesimazione indispensabile per una buona lettura, Daniel è un po' troppo moscio, non è riuscito a trasmettermi troppo.
Insieme, poi, non ne parliamo neanche. Già le premesse stesse del loro primo incontro sono gravi a dir poco e non ho apprezzato la facilità e la velocità con cui la Meyer risolve il tutto.
Mi è piaciuto molto il personaggio di Kevin. Un po' cafone e un po' pericoloso, sempre pronto a litigare con Alex, sempre un po' sopra le righe. Impossibile non farsi quattro risate in determinate scene, che decisamente ravvivano un po' la narrazione.
Mi è piaciuto molto anche il ruolo dei cani in questo romanzo. Il modo in cui entrano nella trama e interagiscono attivamente con essa e gli altri personaggi è adorabile. E poi, io amo cani e gatti, quindi non posso che essere molto felice.
Cosa non mi ha convinta allora?
Come dicevo, i protagonisti non mi hanno coinvolta particolarmente, e già questo è di per sè un problema. Poi il libro, per quanto molto scorrevole e mai noioso, non è riuscito a catturarmi del tutto se non in alcune scene, quelle d'azione (che sono davvero avvincenti, devo riconoscerlo alla Meyer). Sicuramente il genere non ha aiutato: ripeto, non sono un amante dei thriller, non riescono a prendermi completamente di solito.
Una cosa che mi ha colpito è stato il fatto che ho riconosciuto la mano della Meyer, e lo intendo in modo positivo. Ha uno stile, a mio parere, piuttosto caratteristico, anche se non complesso, che si unisce a personaggi e situazioni che avevano quel sapore di familiarità che non ha stonato.
In conclusione, mi ha fatto molto piacere leggere questo libro e sono davvero contenta del ritorno di una scrittrice che, se non eccezionale, è comunque molto piacevole. Sono davvero curiosa di sapere in quale nuova avventura si cimenterò la prossima volta, e spero che un suo nuovo libro arrivi presto in libreria.

Virginia

mercoledì 1 febbraio 2017

CineRecensione#2 Ferro 3

Anno: 2004
Pellicola: Colore
Durata: 88 min
Regia: Kim Ki-duk

Tae-Suk è un giovane che trascorre le sue giornate entrando nelle case lasciate vuote occasionalmente dai proprietari. Dorme sul divano, si fa la doccia, lava i panni, aggiusta gli oggetti che non funzionano, gioca a golf e si scatta fotografie da solo con la sua camera digitale. Tutto con una leggerezza quasi ultraterrena. Un giorno, entrando in una casa, si accorge c'è una ragazza, Sun-hwa, che ha dei segni di maltrattamenti sul viso. Sono i continui litigi con il marito. Tae-suk, la prende con sé, per vagare insieme nelle case degli altri, e condividere questo strano modo di vivere che trasforma, lentamente, la loro amicizia in amore. Un evento inaspettato li allontanerà, ma non per sempre.

Buongiorno cari lettori, bentornati sul blog. Nell'ultimo periodo ho latitato abbastanza e il motivo è tristemente noto a molti di voi: gli esami universitari. L'ansia mi divora e il tempo che non passo a lezione o sui mezzi di trasporto è dedicato allo studio. Nonostante ciò, sono terrorizzata.
Ma non è di questo che voglio parlare, non qui. Ritorno con l'appuntamento con il cinema d'autore e lo faccio con un film molto particolare che, probabilmente, non ho completamente compreso, con mio grande dispiacere.
Kim Ki-duk porta sullo schermo un film sulla solitudine. Le case vuote che il silenzioso protagonista abita - vive - per una manciata di ore, sono il simbolo di un'umanità sempre più chiusa in sè stessa, che sempre più difficilmente permette al prossimo di penetrare, di comprendere.
Tae-suk irrompe nel gelido silenzio delle stanze abbandonate e le popola con la sua presenza delicata, quasi impalpabile. Come un fantasma entra ed esce dalle vite degli altri e solo Sun-hwa, altrettanto silenziosa e invisibile, riuscirà a vederlo davvero.
Il momento dell'incontro fra questi due protagonisti è simbolico, a mio parere. Scoperto da Sun-hwa, che giace rannicchiata in un angolo e con il volto pesto, mentre gira per casa sua, Tae-suk stringe subito con la donna un legame particolare, fatto di sguardi e silenzi. Silenzio rotto da Sun-hwa nel momento in cui, rispondendo all'ennesima chiamata del marito, sfoga tutta la sua rabbia, la sua impotenza e la sua infelicità in un grido potente, che colpisce Tae-suk come un pugno.


Gli unici a parlare sono tutti gli altri: il marito di Sun-hwa, gli abitanti delle case vuote, i poliziotti. Ognuno di loro riempie il silenzio di chiacchiere inutili e false, che svaniscono davanti alla profondità del silenzio e della comprensione che lega i due protagonisti.
Entrambi ombre di un mondo che non li conosce; entrambi spiriti. Solo che Sun-hwa è ancorata al suo corpo dalla bellezza (arma a doppio taglio, che le porta più infelicità che gioia), mentre Tae-suk riesce infine a portare fino all'estremo quella condizione di sogno/realtà che sembra caratterizzare tutto il film. Dopotutto, chi può dire cosa sia reale e cosa no?
Estremamente legato al corpo, alla voce, al mondo è invece il marito di Sun-hwa. Il manesco, il violentatore, il geloso. Ricco e più vecchio, è soggiogato dalla bellezza lontana e silente di Sun-hwa e, non potendola comprendere nè possedere, sfoga sul suo corpo la sua disperazione, la sua impotenza, la sua mediocrità.
Altrettanto fisico è il suo rapporto con Tae-suk, improntato a un odio viscerale e ricambiato. Il loro non è più il contendersi una donna ma il simbolo del rifiuto istintivo di quanto non è come noi, di quanto è alieno alla normalità.
E da qui il titolo. Come ho scoperto ascoltando un'intervista al regista contenuta nel DVD, il ferro 3 è una mazza da golf, una di quelle che si usano di meno. Nel film assume un'importanza grandissima, in quanto è il simbolo della violenza ma anche del grande inganno sociale: nella bella casa di Sun-hwa, nel lusso e nella ricchezza, vivono l'infelicità e la sopraffazione. E il ferro, usato in uno sport tipicamente per ricchi, incarna l'ipocrisia della società e, allo stesso tempo, la rottura di ogni convenzione.
Come accennavo, il film mi è piaciuto ma non mi ha coinvolta totalmente. Credo che sia una pellicola non alla portata di tutti e probabilmente non alla mia. Nonostante questo sono contenta di averlo visto e spero di aver incuriosito qualcuno di voi con le mie riflessioni:)

Virginia